Vai al contenuto

TESTI – La Mano Di Gloria

LA MANO DI GLORIA

Testi

 

 

IL BELLO DELLA SFIDA

Ti sei mai domandato se la sfida altro non sia
Che l’ultimale stigmata di aristocrazia
Spogliata di protervia e fatta salda d’umiltà
Raccordo tra il futuro e una perduta civiltà?
La sola forma d’arte che non faccia la commedia
Di andare controvento mentre è in cerca di una sedia
E l’unica postura in un mondo messo a tergo
Che sia degna di un uomo finalmente allo scoperto

E invece poi

Restiamo qui dopo cent’anni ancora
Grevi di remissività
Che ci abbrutisce e, in fondo, ci divora:
Con fauci di conformità.
Senza mai cogliere che tale posa
Riconfigura ciò che sei
Giacché da sempre servitù si sposa
Col grugno imbelle dei plebei.

Lo vuoi?

Ma penso che nessuna aurora possa permearmi
Al pari di una che si accende in coda a veglia d’armi
E il prezzo di quell’ansia pago più che volentieri
Per un blasone arcaico non avuto fino a ieri.
E’ un arco che si tende solo se sarà regale
La mano che lo impugna, e se la fronte da spaccare
E’ di depredatore, di assassino e parassita
Come Odisseo riavremo il nostro regno nella sfida

Solo se

Ci sembrerà che sia scoccata l’ora,
L’italica ciclotimia
Che Azione ed Arte sian tutt’una ancora
Che torneranno pandemia.
Dopo oltre un secolo non più fratelli
Amari frutti di trincea
Ma i Proci in casa restano sempre quelli
Sei solo tu, l’Arco e l’Idea.

Se vuoi….

“Se novissimo è il campo d’azione
Non muta il brevetto iniziale
Che solo può darti ragione:
Cuore! Bomba! Pugnale!”


 

EDELWEISS

Persistenza c’è di lei: vigorosa sobrietà
Nei tesori che curò dalla ingiurie dell’età.
C’è chi ancora la ricorda, lunghe gambe sul sentiero
Con la sua schiva bellezza, le sue poche primavere.
Ti racconteranno che dedicò la sua esistenza
A rinfocolare ciò che estenuava per assenza,
Un ordito immateriale nell’arazzo tesse insieme
Un paesaggio e la sue gente, la radice col suo seme,
Il torrente a fondovalle e la polla sua sorgiva:
Una sorte collettiva in quei fili d’anima.

Edelweiss oh Edelweiss
In Dir atmet Ewigkeit
Edelweiss oh Edelweiss
In Dir lebt Ewigkeit
Oh Edelweiss!

Di due sangui confluenza, di due stirpi crocevia,
Amorevole presenza di una madre e tuttavia
Devozione combattiva che non compri e non conquisti,
Lei è la tradizione viva: non l’attenti senza rischi.
Lei di vita così colma che anche in morte fu feconda
Nel rigenerar l’estrema sprezzatura della fronda,
Dell’ordigno popolare è l’innesco detonante,
Dei destini che verranno la mitologia fondante,
Ma si eternerà nel mito ciò che oggi è solo lotta:
La carogna a cui ora tocca le ossa qui calcinerà!

Edelweiss oh Edelweiss….

“Hier kommt die Frau
Sie schreitet mit uns vom Traum zur Tat,
Ein Herz voller Mut und Zuversicht
Und ihre Vision wird Wirklichkeit
Edelweiss,
Du bist der Schlüssel in einer Welt aus Stein
Eine Tür in eine neue Zukunft
In eine neues Sein
In ein neues Miteinander
Niemals gibst Du auf
Und alle Gefahren alle Warnungen
Schlägst Du in den Wind”

Il suo nome ora riecheggia tra le abetaie cupe,
Per le valli e tra i dirupi, ogni cuore incendia già.

Edelweiss oh Edelweiss….


 

ALTA VIA

Se la rosa dei venti si dischiude a Ponente
Il cielo scende come uccello da rapina.
Se da Est sopravanza del Maestrale l’affondo
E’ con soffio d’Averno
che alza il rogo del tramonto,
La sciroccale spira che da Sud verrà
Sa di serraglio, frutta sfatta ed oppio,
Ma il nostro inverno spesse volte ha per noi
Di sole e ghiaccio un caleidoscopio.

Avrai luttuose vie di pioggia
Lanciate lungo quei declivi
Per gli scoscesi acciottolati
In mille intorbiditi rivi
E a sbrindellarsi sui crinali
Il vento spingerà i fumosi
Brani di nebbia come bende
Su erose membra di lebbrosi.
Ma giungerà la tramontana
Nell’esorcismo della sera
Quando il suo canto il cielo spiana
Di limpidissima bufera,
Quando fin nelle insenature
Il vento lacera la vela
E quando strappa alla campana
Per Dei negletti una preghiera.

Come Ianus a cavallo di quest’aspra dorsale
Che va a cozzo al costato
dell’alpeggio occidentale
Qui la gente ha due sguardi egualmente lontani
Dagli afrori spiaggiati e dai miasmi padani.
Ma quel retaggio d’indocilità vorrei
Non fosse prono a pavida apatia,
E con la malta d’una nuova idea potrei
Farne fortezza: Alta Via, casa mia.

Vorrei sapere come e quando
Si è consumato questo dolo
E soprattutto la scadenza
Di quel vestito preso a nolo,
Quel detestabile costume
In forma di arrendevolezza
Che a chi decreta l’estinzione
Non sa che opporre la carezza.
Ma il mio santuario è questo monte
Casa del fulmine e del tuono
Scala da cui ogni tempesta
Discende lungo vie di ozono,
Vi brucerò ancora le mie rune
Ad ogni porta solstiziale
E sarà ancora il mio costume
Livida tinta temporale.

Caro amico,
mi è dolce camminare al tuo fianco,
Ora è bene rientrare:
il tempo si va guastando…


 

SUL MIO SANGUE

L’ora
Che col sangue ristora
Come fa del tramonto la piaga che il mondo
Consola di sua emorragia.
Giunge
Con sembianza di sfinge
Elusiva quel tanto da cingere il pianto
E farne affilata pazzia.

Chiunque amavo mi fu strappato via così
E di sicuro anche tu saprai da chi.

E’ l’ora
Che precede l’aurora
Con il cuore di ghiaccio e dispera il suo abbraccio
Di brina, brividi e algie.
Ma chiama
Con lucore di lama
Il cui truce riflesso è il lume che adesso
Solo rischiara la via

Perfetta madre tu sei: Maestra di Pietà.
Mi puoi dannare se vuoi perché so già…

Che davanti a te, mia Signora Delle Stelle,
Giuro che vedrò capovolta la sua pelle.
Giuro su di te e per quanto sia blasfemo
Ti consacrerò questo ferro e il suo veleno.

Credo,
Ma da allora non prego.
Sono quello che sono e non chiedo perdono
Perché io perdono non dò.
Vivo
In vista d’un solo arrivo:
La più atroce vendetta quale unica vetta
Che da oggi scalare vorrò.

Sublime esempio, lo so, è quello che tu dai,
Ma che seguire non potrò, né ora, né mai…

Qui davanti a te, mia Sorella Di Dolore
Giuro strapperò dal suo petto vivo il cuore.
Prega tu per me, ché qui sul mio sangue giuro
Che lo inchioderò come insetto contro il muro!


 

L’ANARCA

Se un giorno le vostre campane la nota più mesta e straziata
La suonassero in morte d’un cane travolto sulla strada,
Non dico che mi ricrederei sul conto di ogni vostro campanile
Ma da cane solo al mondo un vespro lo potrei sentire.
E invece i rintocchi ferali che esortano i popoli al lutto
Sono dati a signori speciali cui dicono dovremmo tutto.
E le distese sonore più sguaiate sempre un po’ ferragostane
Sian senz’altro riservate alle nozze più mondane.

Ma non c’è lega che faccia un fragore
Che possa raggiungermi nel cuore del bosco
Neppure se fosse percossa per ore
Scalzerebbe la voce che domina il posto,
La voce del bosco è un immane me stesso
Che è arbitro solo del bene e del male
E la sola legge tagliatami addosso
E’ scritta nel codice della mia morale.

Gli amici li tengo a distanza
Gli amori, spiacente, lo stesso
Ma questa mia autocoscienza
Sono loro a insidiarla più spesso,
Ma nondimeno mi riesce naturale dare a ognuno il suo dovuto
E accresciuto ritornare il rispetto ricevuto.
Tolleranza non è solo uno sfiato
Specie verso le altrui debolezze
E mai dall’alto in basso ho guardato
Pur chi meritava disprezzo
E non ho mai ingigantito nullità, né sminuito altrui grandezze,
Possa essere dannato se tradisco una promessa.

Mi tengo alla larga da arrampicatori,
Dagli intriganti e da tutti i vigliacchi,
Da chi screditando guadagna favori,
Bado soltanto a pararne gli attacchi,
Non voglio umiliarmi, strisciare o piaggiare
Sebbene l’indotto sia cosa evidente,
Mi piace discutere, ma non litigare,
Preferisco il chiarire al dogma spiovente.

Se sono impeccabile in ogni dovere
E’ solo perché tengo a sentirmi nel giusto,
Tuttavia non corteggio e non servo il potere,
Non concedergli nulla è il mio minimo gusto.
E se il potere spettacolo dona
Non mi vedrete tra i suoi spettatori:
La sola campana che dentro risuona
E’ per i cani chiamatisi fuori.


 

PORTATORI DEL FUOCO

Un tempo per muovere l’aratro
Altro non vi era che anteporvi un bue
E ottenevi del solco il risultato
Sommando le passività dei due.
Creatura e utensile assemblati dal giogo
Nella stretta servile del medesimo nodo.

Nel bove spento è l’occhio minerale
Prospettico all’usuale seminato
Al saldo d’un domani ancora uguale
Tutt’uno con l’attrezzo e col tracciato.
Per questo stenti a scorger le ragioni
Di tutto ciò che un toro fa evidenza,
Ossia che in pochi grammi di coglioni
Consista l’abissale differenza.
Ma è innegabile che tale scarto si vede:
Giogo adatto non c’è – non cammina, ma incede.

Il toro ha un corno disegnato ad arco
Che lancia il suo nemico tra le stelle,
E’ fatto apposta per aprirsi un varco
Sfilandone dal buco le budelle.

Cosa genererà l’indomabile fuoco
Che lo fiancheggerà nell’arena tra voi?
Su coraggio, chi sta dalla parte del toro?
Che si aspetta a unirci a lui?

Qualcuno con quel toro ha da spartire
L’idea che più incivile non si può
Che chi ti vuol la pelle requisire
Dovrebbe ben pagarla anzichenò.
Specie chi come voi pare proprio sia avvezzo
A scucirne di molte, sorvolando sul prezzo.

Quattro torpedini sotto superficie
Le avrete in culo al tempo d’un rosario,
Quattro torrenti di ira redentrice
Già vi hanno scelto come loro estuario.
Due giungono portando in dotazione
Artiglieria leggera, ma per dire.
E un’altra avanza a modo di scorpione:
Punta e veleno tanto per gradire.
Poi c’è un quarto che viaggia imbottito a tritolo
Verso l’ultima spiaggia da cui spiccare il volo.

Mezz’ora d’inferno scoperchiato
Vi ha già ridotto alquanto la baldanza
Benché qualcuno lo si sia accoppato
Si replica che è troppo ciò che avanza.

Detti saranno poi Portatori Del Fuoco,
Una mano che sa appiccarlo per noi.
Fuoco amico di chi, portatore del giogo,
Voglia disertare i buoi!


 

LE STELLE E I FALO’

Qui dove si sposano il limpido e il nero
La notte è lo specchio abissale
Su cui si riflettono l’analogo e il vero
Che adesso è il mio turno guardare.
E’ l’apoteosi del mio paradosso:
Pulita, ma senza candore
E ogni paura mi cade di dosso
Portandosi appresso il pudore.

Intorno a me non c’è altro che aria
Come naufrago null’altro ha che il mare
Ma non è buio di notte ordinaria
Che mi accoglie da vero compare.
E sono impensabili sconforto e paura
Nel tuo regno, sia pur di un minuto,
Seguendoti, seguo la mia stessa natura
E ritrovo un conforto perduto

E il cuore non dà più tormento perché
Quassù tra le stelle e i falò,
Il vento si alza e mi parla di te
E del tempo d’amore che avrò.
L’eterno diventa un momento e non è
Che aria che respirerò
Di casa di volte d’argento per me
E luce di stelle e falò.

Tre vette gemelle e ad ognuna il suo fuoco:
Ché il mondo lo possa scrutare!
E nuovi Arditi avvinti da un gioco
Che ha il soffio d’un rito ancestrale,
Sono certa comprendi se un po’ mi defilo
Quale unica donna in quest’ora.
Già troppi ti acclamano e un basso profilo
Trovo sia preferibile ancora.

Perché dovrei dirti che ardono in te,
Nei tuoi occhi le stelle e i falò
Gettando l’orgoglio tetragono che
E’ la sola forza che ho.
Sono faville nel buio di un’Era
E tu l’astro che ancora non ho.
Vittoria è il mio nome: presagio o chimera,
Se credi, per te lo sarò.


 

CANZONE DELL’ETERNA AURORA

Mi piace osservare di soppiatto
Mentre tutto compreso nel ruolo,
Pianifica e con rapido tratto
Dà forma al suo capolavoro.
Certo, è tutto ma meno che usuale
Sia la bomba l’attrezzo adottato
E che il mondo sia il suo materiale.

Diciamo che nel fortunale
Mi sono aggrappata a uno scoglio,
Se sia sorto da ganglio infernale
O piovuto dal cielo non voglio
Chiedermelo, almeno per ora,
Perché è chiaro: lui è oltre e trascina
Ma già so che mi vuole vicina.

Quando parla, dietro lui, sento
Echi di ineluttabilità
Come il vento che quando si alza sa
Che solo in se stesso ha il suo limite.
Quell’ebbrezza che ci dà quando
La sua immaginificità
Nuovi mondi sa farti scorgere
Oltre visuali ormai aride.
Come Dioniso e cantaride
Infligge il suo trauma magnifico…

E’ strano, ma è storia già vista:
Ogni ciclo rispetta lo schema
Che in chiusura ogni ipotesi mista
Va in malora e rimane l’estrema
Come unica in grado di dare
Un barlume di gioia e speranza
Per la notte, l’aurora è violenza.

Ma l’aurora tornerà sempre,
Forse noi bruceremo con lei
E l’eternità di quell’attimo
E’ un fiore di fuoco da cogliere.
Se vi entrerò con lui, sento
Che dimora di sempre sarà,
E nell’estasi sua cromatica
Le anime saranno musica.
Perché adesso so che un destino c’è:
Quello di essere nata… per te.

Per te…


 

DELLA MORTE ME NE RIDO

Quello che ho lo cedo a te,
Viaggerò scabro e leggero perché
Non servirà nulla di quanto ho raccolto, lo sai,
Dove andrò
Non sei quello che hai.
Non tremo, non temo,
Ma strano: mi stupisco io per primo.
Già sento lo schianto,
Eppure non ritrovo le paure.
E la mia fine la scrivo da me
Che con te
Ho il mio splendido apice…

Scegliendo un destino, rigetto il declino
Comprimo in istante, in stella danzante
Ciò che differito subirei impoverito,
Ma io non sarò miserevole mai e poi mai
Perché della morte, semmai, io me ne rido:
E rideremo, vedrai.

Solo che poi, in tutta onestà,
Mi sorge il dubbio che non sia viltà
La vita che potrei avere invecchiando con te,
Certo, si,
E’ naturale così.
Ma penso, in compenso che
Sia vile adattarsi in un porcile:
Putrescente Occidente
Che impone ciò che in modo abbietto teme
Ma non nominarla non lo salverà,
Morte dà,
Morte riceverà.

E sarà feconda, l’aratro che svelle la zolla
profonda,
Tenessi alla pelle non potrei cacciarmi il temibile
sfizio
Di esser giudizio, sentenza e condanna per voi,
E della morte, perciò, io me ne rido
E tanto peggio per voi.
Per voi
Per voi!


 

ULTIMA STAZIONE

Infine, eccomi qui.
Blindato di sbarre e a costato scoperto,
Se è andata così
Del bel morire non ero poi così certo,
Ma è pronto il rimedio
Nell’ordine di poche ore:
Cessa l’assedio, alla forca ci vado di cuore.
Ma prima che sia
Dischiuso il sipario sull’ultimo atto
Lasciate che dia
La scorsa finale all’intero soggetto
Perché ho avuto una vita
Che sebbene mi si possa levare,
Ben altro conto è quello di riuscirla a imitare.

Ho avuto fratelli fino all’ultimo accanto
Nella sorte che ho scelto di essere spina nel
fianco
E adesso che hanno assaggiato di quel sangue il
sapore
Morto mi renderanno il vostro sogno peggiore.

Ma non nego che
Provo spavento sul ciglio del nulla
Di certo ora c’è
Che non vi son giunto d’inerzia ed imbelle.
Siete dunque coinvolti nel ruolo che io vi ho
assegnato:
Solo i boia che siete, ma dal volto infine svelato.
Bastardi, badate a voi,
E all’arma che state per mettermi in mano,
Col senno di poi
Saprete che un un uomo non muore mai invano
Se manda in scena la parte che a voi vermi non
calza:
L’estrema fierezza di dare un esempio che innalza.

E penso a una donna che il solo avere avuto
Basta e avanza a chiarire l’enigma d’essere nato
Su di lei già sono morto e ogni volta risorto
Voi ammazzate l’avanzo di innumerevoli morti.


 

NELL’ORA DELL’ADDIO

Ogni uomo concorre a un frammento di Creato,
E’ il momento d’un dono simultaneamente dato
Che natura mortale lo condanna a recepire
In dosi minime.

E quel senso di inutilità
Di ogni azione che governa la realtà
E’ il vuoto potere di chi trionfa sull’attimo.
Dileguato Dio, se tutto cambia nulla cambierà,
E quel lavorìo che smonta ogni residua volontà
Che ti rende sterile e che si fa metastasi.

Ma ogni Uomo può scoprirsi disposto ad amputare
Fino all’osso il tessuto e quel mondo rivoltare
Sì da a metterne a nudo anche l’ultima ventraglia
Se sfida scaglia.
Perché ogni Uomo, ideando, può fondare degli
Imperi,
Può narrare cantando ciò che rese grande ieri
Ogni odierno forzato di anomia e insignificanza,
Quell’Uomo avanza.

Nera anima burocrate,
Stolte scienze di stregoni fai-da-te
Che nascono sguattere a chi tiene le redini.
Ecumenici profeti di una nuova umanità
Come medici che fanno del contagio voluttà,
Ma lingua di miele non dà che impulso ad ergersi.

Perché ogni uomo che nasce è il segmento di una
storia
Che chi dà per scontata accecato dalla boria
Si ritroverà in cambio solo carte sparigliate
E armi spuntate.
Ci saranno comunque stirpi troppo ben riuscite,
Temerari e geniali guastatori dell’ordito,
Nuovi incauti incapaci a dividere con l’iniquo
Lo spazio antico.
Sarà l’Uomo-variante che la specie riprocessa
Anticorpo alla parte tumorale di se stessa
Sarà un uomo sereno sull’abisso e nella sfida
Sarà ancora Vita.