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TESTI – Italia: Ultimo Atto

ITALIA: ULTIMO ATTO

Testi

 

 

DOV’ERI TU QUEL GIORNO?

C’è stato un tempo in cui la convinzione
Di non avere torti, ma un’unica ragione
Fu più diffusa nell’aria dei pollini d’aprile:
Una forza immaginaria, ma dubitarne era da vile.

La presunzione, senza contraddittorio,
Di avere messo a punto il piglio necessario
Per risputare quei rospi che ci fecero ingoiare
Proprio dritti su quei loro grugni di latte andato a male.

Dov’eri tu quel giorno?
Ricordi o no?
Dov’eri tu quel giorno?
Te lo dirò…
Cantavi nel coro più forte che mai
Senza incrinature, adesso lo sai.
Con toni d’imperio la tua voce copriva
La mia che una qualche incertezza tradiva.

Poi venne il giorno che dall’alto d’un balcone
Ci s’intimò di scegliere tra il pane ed i cannoni:
Se si fu fessi a tal punto da lasciare risposta al coro
Poi lo fummo doppiamente… A non esigerli davvero.

Ora ch’è chiaro, lampante come il sole
Che tutto quel drizzare di gobbe fu un’orgia di parole
C’è ressa per offrire servizio a chi forza l’ha sul serio
Puntuali come quei treni che arrivavano in orario.

Dov’eri tu quel giorno?
Che è ieri poi…
Dov’eri tu quel giorno?
Puoi dirlo, vuoi?
Su un nuovo spartito spalanchi la bocca
Un ciclo è esaurito e sotto a chi tocca!
Fratelli di ieri già oggi da odiare,
Ma ancora la spunta il più lesto a cantare….

“Ma io che forse tra i fessi ero il più fesso
Qualcosa da ridire lo avrei di nuovo adesso:
Ad accorrere festanti in soccorso a chi già vince
Ci si mette addosso un gran brutto cencio
Che nei secoli non stinge
Non stinge…
Non stinge…”


 

GALLERIA DELLE GRAZIE

Ventidue ottobre del ’42: compivo sedici anni.
Sera assediata da un nero scirocco carico di malanni.
Scirocco è la voce sbagliata d’un mare
Che si ripensa inchiostro,
E’ il cielo di piombo propizio al rapace
Che va preparando il rostro,

E’ già troppo tardi quando la sirena
Ci gela in gola una misera cena,
Latrando il suo allarme da anima in pena.

Con lo stesso svelto sciamare dei ratti
Che puntano un pertugio
Andiamo a stiparci in quel tunnel infame
Che chiamano “rifugio”.
Lo schianto assordante, il buio ha un conato,
Il mondo si capovolge
Su un mare di urla mi sento scagliato,
Poi il nulla mi travolge.

Non so dopo quanto riacquisto nozione
D’esserci interamente;
Prendo a strisciare su corpi smembrati,
Risalgo una corrente
Che sa di zolfo e metallo combusto,
Che sa di mattatoio
E se per metà riconquisto la vita
Per l’altra resto e muoio.

Ma c’è quella voglia che avrei di guardare
Negli occhi gli anonimi eroi che mi pare

Abbian pensato di dar contributo
A questo bombardamento
Facendo luce al momento opportuno
Durante l’oscuramento.*

E poi che stile quei “liberatori”!
Da ricchi, da gran spreconi
Se per colpire una mezza caserma
Spianano sei rioni…

Ma dalle macerie riguadagno la notte,
Sto qui a riveder le stelle
Con occhi che sento rinati in quest’ora,
Con gli occhi d’un ribelle.


 

NEGLI OCCHI D’UN RIBELLE

Negli occhi d’un ribelle non c’è solo la fiamma
Che la collera vi accende tra uno sdegno e una condanna.
Vi s’affaccia, talvolta, come il sole tra i nembi
Un veloce passaggio di fantasmi ridenti
Come i giochi di ragazzi che chiassavano le corti
Nei più limpidi vespri che memoria ricordi.

Occhi che guardano a te, ansiosi di dare una scossa,
Persuasi che il mondo non voglia null’altro che gioia e sommossa,
Ben certi che il capo chinato sia sempre tra i mali il peggiore,
Ma lustri di chi se n’è andato, avendo gettato un amore,
Chissà poi perché…

Negli occhi d’un ribelle c’è un andare di ombre
Come d’un ripensamento che sorprende e confonde,
Quasi come temesse di non reggere l’impatto
Di quel dono tremendo che le stelle gli hanno fatto,
In quegli occhi, dicevo, c’è un’ostinazione antica
Che è la muta cocchiera d’una scelta di vita.

Vita che nasce giocata, con asso di coppe, la morte:
La minima pena annunciata per chi va più in alto e più oltre,
L’eterna sentenza che è in uso per l’imperdonabile dolo
Di avere il contagio diffuso della tentazione del volo.

Sebbene sia raro talvolta arriva a insidiare i poteri
E allora oggi tutti a lisciare le mani pestategli ieri,
Si schiudono porte a palazzo e cosce di belle signore,
Ma solo quando la vittoria parrebbe questione di ore,
E in tutte le guerre civili, in tutti gli scontri di piazza
Collidono le ideologie e s’alza quell’unica razza
Di illusi, romantici e fessi tagliati per bara o prigione,
Nei secoli sempre gli stessi, motori di un’evoluzione
Che li negherà…


 

LUISA FERIDA

Veste sobrio la donna che vedi,
Ma l’ectoplasma d’un vestito in lamé
Pare le snudi ancora la schiena
Offerta agli sguardi in tante soirées.
La metti a fuoco nella luce livida
Da imposte serrate di stanza d’hotel,
Ma non vuol negarsi quest’ultima scena,
La posa finale che è già scritta perché…

Lei è Luisa, Luisa Ferida
La più amata di Cinecittà.
La Ferida, Autarchica Diva
Che la sua platea dimenticherà…

Non può scordare
Giorni più fulgidi di cento solleoni
Viverli senza bruciare:
La più imperiale delle allucinazioni.
Le cavalcate
Nella tenuta, coca party al Coppedé,
Femmina Italia
Verso il futuro su due alte décolletées…

Nuovo copione: un ruolo infamante,
La controfigura le ruba la scena
Seppur non ha colpe, non è rilevante:
Per chi troppo ha avuto, niente sconti di pena.
Simbolo d’anni sin troppo ruggenti
Non c’è alcun bisogno di verità
Ancora una parte da Fedele d’Amore
Al ciak di commiato del caricatore…

Sfila l’anello
E nel baule ha già riposto l’astrakan.
Non resta che quello
Perdere tutto come fosse un baccarat…
Il banco vince,
Già vede scorrere i suoi titoli di coda,
Scherma i suoi occhi
E resta avvinta a una menzogna che l’inchioda…

Lei è Luisa, Luisa Ferida,
Indossa il grigio di pioggia in città,
Guardala ancora un istante da viva:
Sei l’operatore che l’inquadrerà
Tocca a te…
Tocca a te…
Tocca a te…

Leggi l’accusa, ecco il tuo film
Leggi l’accusa, ecco il tuo film
Leggi l’accusa, ecco il tuo film!
… Smonta il set


 

BORA

Sento echi d’un festeggiamento
Li sta portando il vento,
Tra poco giungerà.
“Loro” stanno ballando il Kolo,
Né stile, né decoro, ma gran vitalità.

La dottrina supporta il livore,
La maniera per ben iniziare
Pensan sia quella di cancellare
Le tracce di Storia passata di qua.

Certo che hanno un conto aperto,
L’ideologia è uno scarto
Per chiuderlo però…
Io credo almeno in ciò che vedo
Porta una firma il modo
Di chi ridisegnò
Con lavoro tenace e paziente
L’aspra terra che è Soglia D’Oriente:
Resta sempre Latina la gente
Che il vento e la pietra del golfo domò.

Vennero dalle selve con passo da pastori,
Con piani quinquennali e nuovi tricolori,
Con una sola stella dove fu l’Orsa Fiumana:
Li avemmo dentro casa in una settimana.

Bora su Zara, Fiume e Pola
Aleggia una parola
Che ognuno tacerà:
Foiba, quella parola è Foiba
C’è chi la trova eroica
E che sa di libertà.
Cadi giù senza fare rumore,
Neanche male come sepolture:
Resti in grembo a Madre Natura
E pensa che in Patria c’è chi applaudirà…

Vennero dentro i borghi
Mettendo un nuovo vestito
Di dogmi altisonanti
Su un odio assai più antico.
E in ogni cuore esule risferzerà la bora,
Invecchiammo di cent’anni
E fu in un’ora sola.

Via Roma – Nikad Doma
Via Roma – Nikad Doma
Via Roma – Nikad Doma…


 

IN COMPAGNIA DEI LUPI

Cos’è che rende un servo più fedele?
Qualcuno crede sia l’estro del padrone,
Per me si tratta di pezze sul sedere,
Non di carota, certo, né di bastone.
L’essere vedova con tre figli sulla groppa
Rappresenta, almeno credo
Un incentivo a fare un po’ la bocca
A certe porcherie che vedo.
E non nego che solo il fingere
Di non vedere e non sentire,
Per lo sbarco del lunario
Costituisca un buon pontile.

Ma… Ci tengo molto a fartelo sapere
Nelle stanze dove si svagano i “signori”
Non entro se non per pulire.
Perciò… Da me
Non aspettarti aneddoti bavosi
Da madre non dovrei neanche immaginare
Che esistano simili cose
Però…

Succede che stasera sia gran festa
Nella villa a Torvajanica,
Quella gran dama dall’aria principesca
Cala i suoi assi dalla manica:
Una valanga di polverina bianca,
Sgualdrinelle compiacenti,
Per il ministro, il presidente della banca
E altri autorevoli clienti.
E non c’è nulla che senza remore
Queste non siano disposte a fare,
Vagheggiando di carriere
Nello struscio col Potere.

Ma… Nel mentre ho altro champagne da servire,
Una che vuol spiccare tra le altre
Decide che deve strafare.
E che fa?… Ridendo, si alza,
Prende un fiato e poi si china
Col naso dentro al mucchio della coca:
Si gioca la pelle quell’oca!
Infatti poi … Di colpo sbianca,
Scalcia e annaspa in cerca d’aria,
E si schianta a faccia in giù
Diventando tutta blu…

Così… Si traina fuori quella sciagurata:
C’è il bagnasciuga giusto a 4 passi,
In fondo, dicono, se l’è cercata…
Per cui… Sarà uno scherzo per la cricca il rimediare
Un confratello medico legale
Che attesti di un incauto pediluvio,
Ahimé letale!

Di certi stomaci è arduo immaginare
Fino a che punto siano irsuti.
Mentre rientriamo mi sorprendo a osservare
Che sono in compagnia dei lupi…
E adesso temo che per levarceli di dosso
E vederli tutti appesi,
Al confronto i vent’anni di quegli altri,
Sembreranno pochi mesi.


 

PASIONARIA

Dovessi aggettivare il ricordo che ho di te,
Invernale, direi, e sapresti il perché.
Anni foschi in bianco e nero che gelavano addosso,
Oggi a scuola, domani in un fosso.
Sarebbe stato opportuno abbassare lo sguardo:
Costa caro il rispetto di sé…

Reducismo è quel mestiere
Che non mi s’addice ancora,
Ricordarti è sanguinare
Come, quanto e più di allora.
Malinconici meriggi consumati troppo presto
Per le nostre discussioni, figurarsi per il resto…

Giocai tra le pozzanghere, tra palazzi in costruzione
Crebbi senza la tua educazione.
E quel mio rimorso incredulo nasce solo da questo:
Proprio io tuo cattivo maestro!
Troppi libri scambiati con urgenza incendiaria
E quel nome per te: Pasionaria.

Ma vorrei poterti dire
Che ora so che c’era amore
Resisteva ancora, in fondo,
Un qual fossile pudore
Che da solo può insinuare
Tra due corpi con scadenza
Il respiro d’un Eterno
Di cui oggi si fa senza.

Andasti fino in fondo al nostro viale ventoso
Con quello stile tuo, volenteroso,
Forse solo alla mia ignavia devo l’essermi salvato
Dal destino che ti fu assegnato.
La stagione impazzita, la tua estate di piombo,
Si doveva toccare quel fondo?

Come sparo nella notte
Che v’attinga il mio disprezzo
Per voi che reggeste i fili
Per pontificare adesso
Dopo averci vellicato
Quando si mordeva il freno
E per la Ragion Di Stato
Che fa dire: “Una di meno…”


 

PIAZZA DEI CINQUECENTO

Chissà se esiste nulla che
Abbia più gran tedio di sé
Di una piovosa domenica italiana.
Se poi è già sera, ed è novembre
Con il crepuscolo che scende
Su questa guazza metropolitana,
Più ancor rimpiango le veglie attorno ai fogolàr…*

All’oste l’ho dovuto dire:
“Sei ancora in tempo per fuggire”,
E lui temeva che fosse per la cena!
Di Vecchia Italia onesta scorza,
Anch’egli ignora la sua forza
E il suo affetto mi dà una dolce pena.
Ma il vino suo denso sa sempre scaldarmi il cuore…

Testimoniare verità:
Null’altro resta ormai da dire,
Vorrei il coraggio di una fede,
O emanciparmi da viltà,
Dalla paura di morire
Come sa solo far chi crede.
Ma sotto un disperato cielo
Ciò che mi spinge adesso a uscire
Sà ancora d’empietà, e spero
Avrò nuove cristianità
Dal clandestino mio Dies Irae,
Perché anche lì vi è Pietà e Amore…

Mi è caro il gergo popolare,
Il puerile senso dell’onore,
La sua allegrezza, la tragica incuranza.
Vi è ancora un senso, una passione,
Vi sopravvive una nazione
Con residuale, sfrontata appartenenza.
Non so per quanto, ma meglio di voi, di me…

Forse a guardare troppo in là
Mi ritrovai gli occhi feriti,
E un balsamo vorrei, o un figlio.
O un’innocenza che berrei
Come tra giovani banditi
Belli e cari agli Dei.
E prego
Mi si traghetti oltre la notte
Lungo i canali delle vie,
Fino alla quiete che
Concede lo stolto tempo che gli Dei
Li ha trasformati in malattie,
Febbri dei giorni miei…

Hai già cenato?
Perché mi dai del Lei?

“Che famo, annamo?”


 

L’ESTATE DEI SILENZI

Archiviata tetra decade
Con pirotecnia finale
Venne un’altra volta estate
Come scimmia che ti assale,
Ti entra nei puberi reni
E li fa luce del mondo,
Come al tempo dei Tirreni
Ogni viaggio ha un mare in fondo.
E fu etrusco il nostro mare
E misterico quel viaggio,
Negli affreschi di Tarquinia
Tersi riti di passaggio.
Di quel mondo ancora giovane
Era come avere scorto
Circolar fragrante sangue
Da quest’evo vizzo e storpio.

Poi avremmo deposto grati
La sporta degli Eroi
Ormai ridotta ad un fardello di porfidi.
Non proprio riconciliati
Ma un po’ più attenti a noi:
Avere stile è libertà.

Ci saremmo poi dannati
Per il nostro scarso fiuto:
Nella noncuranza endemica
Non s’è mai riconosciuto
Lo spietato sguardo neutro
Che riserva la natura
Alle agonie e agli affanni
D’ogni buona sua creatura.
Per non aver udito al fondo
Di diuturne sonnolenze
Echi di caverne e forre
E di più spettrali essenze.
E in quel vitalismo greve
Che un po’, infondo, ci compiace
Come non scovarci acre
Il sentore della strage?

Ma vampa d’agosto, il servo,
In mezzo al crocevia d’una stazione
Apostrofava gli immemori
Che c’è sempre un bastone in serbo,
Che atlantica afasia
La chiameremo Libertà
(Sarà la nostra “libertà”)


 

ITALIA: ULTIMO ATTO (EPILOGO)

Chiaro ch’è andata così: un paese da vomito!
A tal punto sconfitto
Che il non darsi più limiti
Lo ritiene un diritto,
E intanto, sopra di noi,
E’ tutto un raspare di sciacalli,
Tutto un darsi di gomito.
Per quanto avvezzi ai talloni
Non potremmo trovarci peggiori padroni
Di quelli che abbiamo già.

Se inizi a sputare dove hai fino a oggi mangiato
Ti unisce un sollievo che abbiamo già sperimentato,
Vieppiù faticato e insapore quel piatto, del resto,
Comunque ci dicono sia revocabile presto,
Anzi, forse lo è già.

Fuoco
Non ne troverai a sufficienza
Per domare questa pestilenza
Nemmeno negli astri, nemmeno negli abissi terrestri.
Italia la gran cortigiana
Con corona di vette innevate
Che puoi rimirar da lontano
Come un’aquila con le ali inchiodate.
E sentire onorar la bandiera in certe bocche è cosa nauseante:
Con tutti quei morti sul gozzo sventolerà sotto un fiato pesante.

Ma come siamo giunti fin qui?
Non mi riesce di crederci!
Proprio come i cornuti
Sempre messi al cospetto di fatti compiuti,
Poi bestemmia, se vuoi.
Antiche scaltrezze da servi da un po’ non ci aiutano
E non è sorprendente che in assenza di quelle non resti più niente
Da giocarci per noi.

Attendi una resa dei conti che non giunge mai,
Ma come aspettarsi riscosse da simili buoi?
Al limite ognuno compila una lista mentale
Di veri o presunti bastardi a cui farla pagare…
Se quel giorno verrà.

Vuoto
Non si cessa mai di cadere,
Ogni volta c’è un male minore
Che devi ingoiare
Fino al prossimo d’un grado peggiore.
E ciò che è uno stupro abituale
Ci convincono sia un compromesso,
Patriota lo resto, però, quando sto con me stesso.
Vivo uno stato ideale tra i muri della mia stanza,
Invocare il sipario è normale, se una farsa è durata abbastanza.