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TESTI – 1919

1919

Testi

 

 

1919

Mi chiedi se ancora non basta
Quel mare di sangue che s’è attraversato,
Che tarlo ci rode e ci guasta
La sorda esultanza d’aver riportato
A casa la pelle che mai nessuno più avrebbe scommesso tornasse da là…
La chiami “nevrosi da eroi”
Sarcasmo à la page di rigore parlando di noi.
In guerra diletti ai poeti
In pace reietti e stranieri,
Resulta di morti incompleti
Che ingombrano peggio dei veri.
Sarà che un tizzone d’inferno
Nell’occhio ci ha preso dimora,
Che un puzzo di cane in inverno
Ci sosta di presso da allora.

T’inganni, sai, tu che di me
Non vedi che vuota apparenza.
Non crederai, non noti che
Del lutto non puoi più far senza.
Non chiedo che d’esser felice
E il tempo son certa sia ora:
Facile se farai come me
E andasse il passato in malora!

Sarà, ma non dopo la vista
D’un cieco di guerra i cui passi sperduti
Cercavano a tentoni la pista
Per uscir da una selva di lazzi e di sputi
E d’un mutilato le cui stampelle son state scalciate per ilarità.
Ma odia ciascuno di noi
Quel mezzo paese che teme e disprezza gli eroi.
La stessa carogna che ieri
Qualunque nemico ha tifato,
Gli infami che oggi van fieri
Di ciò che gli è stato evitato.
Vigliacchi a cui la fierezza
Procura un’innata allergia,
Per cui vagheggiar la grandezza
E’ sintomo di malattia.


Credo, semmai, che dentro te
Insorgano urlanti i caduti
E sbagli sai se credi che
Prestar loro voce ti aiuti.
La vita era e resta una sola
Malgrado ogni elucubrazione,
Pensare a sé oggi non è che la più ardua missione.

Non cedere un palmo di terra
Sul fronte non era che il giusto
Ma in questa più infima guerra
Finisci per prenderci gusto.
Scusami, sai, se dico che indietro non son mai tornato
Non fino a che non si vedrà ciò per cui s’è sanguinato.

Vi faccio gli auguri in tal caso,
Di più non saprei cosa dirvi
Ma se la sorte vi arriderà sarò la prima a seguirvi.

 

 


 

DISOBBEDISCO!

Sono venuto per sentire come batta il vostro polso
Come s’intoni il vostro cuore
Come si comporti il vostro fegato.
Qualcuno ha pensato che io avrei detto: “Obbedisco”?
Il verbo è vecchio, sebbene garibaldino, i tempi son mutati…
Io dico invece a voce chiara e a testa alta: “Disobbedisco!”
Non ho lasciato un comando se non per prenderne un altro.
Ma voi che avete fatto, intanto,
mentre io preparavo in silenzio, senza perdere un’ora, qualcosa di cui avrete notizia, spero, tra poco.
Quali armi voi mi date?
Come vi siete voi ordinati e disposti alla lotta?
Con qual proposito? Con quale disciplina?
Mi sembra che voi non aspiriate se non al premio della pazienza;
Che certamente sarà istituito dal nuovo paterno regime il quale,
ammettendo nel suo pentolone i miscugli e gli intrugli più diversi,
è capace di fare sua anche la sentenza francescana:
“La pazienza è opera di perfezione e prova di virtù”.
Mi felicito con voi: virtuosissimi!!

Sono venuto qui appunto misurare la vostra pazienza che sembra incommensurabile.
La fame è una creatrice di mondi, così come il desiderio,
ma è proprio necessario che il nostro pane quotidiano sia zeppo di vermi?
Masticatelo, se vi piace, io preferisco la fame!
Tornate a casa e pazientissimamente aspettate il premio della pazienza…
Tornate a casa: mettete la testa tra due guanciali e mandatemi una buona volta al diavolo!

Eccolo… eccolo il triste mutilato la cui pensione, troppo attesa, è umiliante elemosina…
Eccolo: manomesso dal poliziotto travestito, traballare tra lattoni e sberleffi,
girar sul tacco di legno, cadere di schianto e rimanere lungo giù nel selciato.
Ma anche l’uomo delle grucce, anche lui è un soldato che sa rispondere: “Disobbedisco!”.